Quando si parla di trattamento di fine rapporto (TFR) le domande da porsi sono moltissime e, poiché si tratta di una componente importante della retribuzione, è opportuno essere informati circa i propri diritti.
In questo articolo risponderemo a una selezione di domande scelte, per chiarire bene una serie di dubbi relativi alla liquidazione.
Nel dettaglio, vedremo cos’è il TFR, quali denominazioni può prendere e con che cosa non va confuso. Poi, analizzeremo le modalità di calcolo, partendo dalla RAL come base di calcolo, mostrando in che modo avviene la rivalutazione annuale sulla base dei dati ISTAT e giungendo alla tassazione separata finale.
Forniremo, inoltre, indicazioni sul reperimento di tutte le informazioni sul TFR direttamente in busta paga, sul suo pagamento al termine del rapporto di lavoro e sulla riscossione di quanto maturato anche in caso di fallimento dell’azienda.
Infine, vedremo come scegliere la destinazione del TFR e per quali motivi conferirlo alla previdenza complementare invece di lasciarlo in azienda può essere la scelta migliore.
Per dare una definizione precisa di trattamento di fine rapporto o TFR, citiamo il glossario INPS:
“Somma che il datore di lavoro deve corrispondere al proprio dipendente alla cessazione del rapporto, corrispondente alla sommatoria delle quote di retribuzione accantonate e rivalutate annualmente.”
Introdotto con la Legge 297/1982 “Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica”, il TFR nasce in realtà negli anni ‘20 del ‘900, ma in una forma diversa.
Denominata “Indennità di licenziamento”, era riconosciuta ai soli dipendenti e solo in caso di licenziamento non dovuto a colpa del lavoratore. Successivamente si è evoluta nella cosiddetta “indennità di anzianità”.
A partire dalla introduzione del TFR nel 1982, l’indennità di anzianità è stata sostituita con un nuovo sistema di calcolo.
Oggi, il TFR si applica a tutti i lavoratori dipendenti del settore privato.
Il trattamento di fine servizio (TFS) è anch’esso un importo che viene riconosciuto al lavoratore dipendente al termine del rapporto di lavoro, ma differisce dal TFR principalmente perché è destinato esclusivamente ai dipendenti pubblici e statali, non ai privati.
Inoltre, mentre il TFR ha una natura contributiva, e si configura quindi come una componente salariale accantonata e pagata in maniera differita nel tempo, il TFS ha una natura retributiva e previdenziale, e viene calcolato sulla base dell’ultima busta paga percepita.
La risposta è: nessuna! I concetti di “liquidazione” e di “trattamento di fine rapporto” si sovrappongono.
Semplicemente, TFR è il termine tecnico-giuridico per definire la liquidazione, che a sua volta è il termine di uso comune per definire l’importo riconosciuto a un lavoratore al termine del rapporto di lavoro.
Al TFR hanno diritto tutti i lavoratori del settore privato con contratto di lavoro subordinato, occupati a tempo indeterminato o determinato, compresi i lavoratori part-time, gli stagionali e i lavoratori a progetto.
Sono invece esclusi da questo trattamento i lavoratori autonomi.
Per rispondere a questa domanda, prendiamo la definizione fornita dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in materia di Disciplina del rapporto di lavoro:
“Il contratto di lavoro subordinato è caratterizzato da una "subordinazione" del lavoratore, il quale in cambio della retribuzione si impegna a prestare il proprio lavoro alle dipendenze e sotto la direzione di un altro soggetto.”
Dunque, la caratteristica peculiare è quella di lavorare sotto la direzione e il coordinamento del datore di lavoro, a differenza di coloro che svolgono il proprio lavoro in maniera autonoma.
Il TFR ha una diversa destinazione a seconda delle scelte fatte dal lavoratore, ma anche delle dimensioni dell’azienda in cui si lavora.
Nel dettaglio:
Leggi anche il nostro articolo Dove va il TFR lasciato in azienda?
La retribuzione utile ai fini del TFR è la retribuzione annua lorda (RAL) prevista dal contratto di lavoro.
Si tratta dell’informazione di base per procedere con il calcolo del trattamento di fine rapporto.
Per calcolare il TFR occorre seguire diversi passaggi, a partire dalla RAL. Si divide questo importo per 13,5 e al risultato va sottratto lo 0,5% della retribuzione soggetta a contribuzione INPS.
All’importo ottenuto bisogna poi applicare la rivalutazione annua sulla base dell’indice ISTAT e, infine, determinare le imposte per ottenere l’importo netto.
Per visionare un esempio pratico, con tutti i passaggi, leggi il nostro articolo Calcolo TFR (Trattamento Fine Rapporto): come farlo
La rivalutazione del TFR lasciato in azienda, sulla base dell’indice ISTAT, si fa ogni anno al 31 dicembre, e è composta da:
Gli accantonamenti del TFR, che anno dopo anno sono stati lasciati in azienda, non vengono tassati nell’anno in cui sono stati conteggiati.
L’accantonamento del 2023, quindi, non viene tassato nel 2023 stesso.
Le imposte sono conteggiate e applicate soltanto quando il lavoratore riceverà l’intero TFR accantonato, sotto forma di liquidazione, al termine del rapporto di lavoro. A quel punto, il TFR sarà sottoposto alla cosiddetta “tassazione separata”.
Dunque, il TFR non concorre a formare il reddito dell’anno in cui si ottiene la liquidazione, perché altrimenti le imposte di quell’anno in particolare risulterebbero altissime, raggiungendo un reddito imponibile molto più alto del normale per il lavoratore in questione.
Allora, anziché conteggiare le tasse in dichiarazione dei redditi, sul TFR si calcolano le imposte separatamente, appunto, e con un’aliquota determinata facendo la media di quelle degli ultimi 5 anni.
Per farsi un’idea, la tassazione minima è pari al 23%.
Se invece si decide di destinare il TFR alla previdenza complementare, ad esempio a un fondo pensione negoziale come Priamo, le prestazioni finali per i lavoratori del settore privato, incluso il TFR, vengono tassate con un’aliquota del 15% che si riduce dello 0,30% all’anno per ogni anno di permanenza nel fondo pensione oltre il quindicesimo, fino a un’aliquota minima del 9%.
Per conoscere tutti gli importi relativi al proprio TFR, la fonte di informazione più attendibile è la busta paga.
Indicare il TFR sul cedolino è obbligatorio, dal momento che su questo documento vanno indicate tutte le spettanze del lavoratore, incluse quelle differite come la liquidazione.
Pur trattandosi di dati obbligatori, la struttura della busta paga non è sempre uguale per tutti e spesso le informazioni sono organizzate in maniera diversa e annotate in posizioni differenti sullo schema.
Si può trovare un’intera sezione dedicata al TFR, oppure le voci indicate una per una con la parola TFR sempre presente, come “imponibile TFR”, “accantonamento TFR mese”, ecc.
In sintesi, anche se in forma diversa, in ogni busta paga sono presenti le seguenti informazioni legate al TFR:
Approfondisci con il nostro articolo Dove si vede il TFR in busta paga: guida pratica
Si tratta della cosiddetta cessione del quinto dello stipendio. Il collegamento sta nel fatto che, nel caso della cessione del quinto, la garanzia a tutela dell’istituto di credito o della finanziaria che concede un prestito è rappresentata dal TFR del lavoratore.
Nel caso in cui il debitore non dovesse onorare le rate, per esempio per via della perdita del posto di lavoro, la finanziaria potrebbe pretendere il versamento del TFR dall’azienda o dal fondo pensione scelto a rimborso del credito vantato.
Per approfondire vai al nostro articolo Cessione del quinto e fondo pensione: cosa devi sapere
Se tutto funziona regolarmente, il TFR viene pagato:
Se, invece, le cose vanno male, cioè l’azienda va in difficoltà e interviene il fallimento, dunque la liquidazione dell’attività, il trattamento di fine rapporto che spetta al lavoratore viene pagato con le risorse economiche stanziate nel Fondo di garanzia del TFR e dei crediti di lavoro dell’INPS.
L'intervento del fondo può essere richiesto da tutti i lavoratori dipendenti da datori di lavoro tenuti al versamento del contributo a questo Fondo (compresi apprendisti e dirigenti di aziende industriali), che abbiano cessato un rapporto di lavoro subordinato.
Il Fondo di garanzia interviene con modalità diverse a seconda che il datore di lavoro sia soggetto o meno alle procedure concorsuali, cioè se il mancato pagamento avviene per via della liquidazione dell’azienda o per omissione del datore di lavoro che pure è ancora in piena attività.
In sostanza, si può chiedere il supporto del fondo anche nel caso in cui l’azienda non sia fallita ma si rifiuti di pagare il dovuto.
Come regola generale, il TFR dei dipendenti privati deve essere pagato entro 60 giorni dalla data della fine del rapporto di lavoro.
Tuttavia, non esiste una norma che preveda dei termini validi per tutti i lavoratori e le aziende. Per questo motivo è fondamentale verificare le previsioni specifiche del proprio contratto di lavoro e per la categoria a cui appartiene il soggetto interessato.
I lavoratori dipendenti del settore privato, al momento dell’assunzione, hanno sei mesi di tempo per decidere se destinare il proprio TFR al fondo pensione di categoria (fondo negoziale di riferimento o altro fondo individuato dalla contrattazione collettiva). oppure lasciarlo presso l’azienda.
Nel caso in cui il lavoratore non fornisca alcuna indicazione, il suo TFR sarà versato automaticamente al fondo pensione in un comparto con la garanzia di restituzione delle somme versate.
Il lavoratore, successivamente, in qualsiasi momento, potrà decidere di versare altri contributi e/o cambiare il comparto di investimento (switch).
Scegliere di destinare il TFR al fondo pensione di riferimento, come ad esempio Fondo Priamo, fornisce una serie di indubbi vantaggi:
Leggi anche il nostro approfondimento TFR in azienda o in un fondo pensione: come scegliere?
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