In una fase storica segnata, fa l’altro, dall'instabilità dei mercati finanziari e dall’inflazione, la scelta sul TFR (tenerlo in azienda o versarlo in un fondo pensione?) potrebbe apparire più complessa.
Al fine di compiere scelte razionali per il proprio futuro, infatti, è importante conoscere tutte le variabili in gioco.
In questo articolo vedremo, dunque, come funziona la rivalutazione del TFR tenuto in azienda, cosa accade invece se si sceglie di destinarlo al fondo pensione, l’importanza di adottare sempre un orizzonte temporale ampio e di lungo periodo e, infine, quali sono i vantaggi dell’adesione a un fondo pensione.
Il TFR (Trattamento di Fine Rapporto) è un accantonamento che le aziende sono tenute a fare ogni anno per poi consegnarlo ai lavoratori dipendenti, al netto delle imposte, in caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato.
L’importo da accantonare ogni anno è pari, e comunque non superiore, all'importo della retribuzione dovuta per l'anno stesso divisa per 13,5. Per semplificare, possiamo dire che per ogni anno di lavoro viene accantonata una retribuzione mensile destinata al TFR.
Il TFR, dunque, figura in busta paga ma non viene pagato al dipendente, che lo riceverà soltanto al termine del rapporto del lavoro. Ma cosa accade al denaro accantonato in azienda? Rende qualcosa ai lavoratori?
Le norme vigenti prevedono che sul TFR in azienda si applichi un tasso di rivalutazione costituito dall’1,5% fisso più il 75% dell’inflazione annua.
Chiariamo meglio con un esempio:
Per completezza ricordiamo che l'inflazione prevista per il 2022 è molto più elevata, dunque lo sarà anche la rivalutazione.
È importante però segnalare che la rivalutazione del TFR determinata nel nostro esempio è da intendersi al lordo delle imposte.
Occorre infatti applicare all’importo ottenuto l’imposta sostitutiva pari al 17% da versare annualmente allo Stato. Dunque, il lavoratore riceverà al termine del rapporto di lavoro la rivalutazione netta a cui saranno già state sottratte le imposte. Nel caso del nostro esempio, la rivalutazione netta è pari a 28,64 euro (il 17% in meno rispetto alla rivalutazione lorda).
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Nel caso il lavoratore scelga di versare il proprio TFR in un fondo pensione, al posto della rivalutazione appena illustrata otterrà un rendimento.
Quest’ultimo dipende da una serie di fattori collegati fra loro:
Nonostante le condizioni di questo 2022 siano più sfavorevoli rispetto al passato recente, a causa principalmente della volatilità dei mercati finanziari - condizionati dal conflitto russo-ucraino e dell'inflazione elevata -, vedremo nel prossimo paragrafo che, proiettando il discorso sul lungo periodo, la convenienza del versamento del TFR a un fondo pensione emerge in maniera chiara.
Come detto in principio, infatti, le decisioni sul TFR vanno prese considerando la questione nel suo insieme, avendo come riferimento un orizzonte temporale lungo, e non soltanto basandosi su fattori contingenti o sull’andamento dei rendimenti nel breve periodo.
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La prima, importantissima riflessione, va fatta sull’obiettivo di chi sceglie di affidare il proprio TFR a un fondo pensione: mantenere il proprio tenore di vita pressoché inalterato al momento del passaggio dal lavoro alla pensione.
Come si intuisce, si tratta di un obiettivo di lungo e lunghissimo periodo, specie se l’aderente è molto giovane, e che proprio per questo non può essere condizionato dalle oscillazioni del breve periodo.
Per comprendere la convenienza tra rendimento da fondo pensione e rivalutazione del TFR lasciato in azienda, dunque, occorre prendere in considerazione i dati relativi ad ampi intervalli temporali.
Per chiarire meglio, prendiamo i dati della relazione COVIP 2021 e analizziamo i dati degli ultimi 10 anni. A fronte di una rivalutazione media annua del TFR in azienda pari all’1,9%, il dato medio del rendimento per chi ha scelto un fondo pensione negoziale, come Fondo Priamo, è stato pari al 4,1%.
Dunque, il fattore tempo è fondamentale per fare scelte oculate per il proprio futuro.
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Oltre ai dati lordi su rivalutazioni e rendimenti, occorre prendere in considerazione altri elementi, tra cui la tassazione.
Come anticipato, il TFR lasciato in azienda subisce la tassazione della rivalutazione pari al 17%. A questa si aggiunge una tassazione separata, pari a un'aliquota almeno del 23% che deriva dalla media dell'aliquota IRPEF per gli anni di servizio.
Il TFR versato al fondo pensione, invece, viene tassato come segue:
E se il lavoratore avesse bisogno di un’anticipazione del denaro accantonato in azienda o nel fondo pensione? In questo caso l’ago della bilancia pende decisamente verso i fondi pensione, vediamo in sintesi perché.
Chi ha aderito a un fondo pensione può fare richiesta di anticipazione decorsi 8 anni dall’iscrizione e per un importo non superiore al 75% della posizione individuale maturata.
Per il TFR lasciato in azienda occorre attendere comunque almeno 8 anni, ma l’importo ottenibile non deve superare il 70%.
Nei fondi pensione è richiedibile in qualsiasi momento un anticipo per un importo non superiore al 75%.
In azienda occorre attendere invece almeno 8 anni e l’importo ottenibile non deve superare il 70%.
A prescindere dalla motivazione, nei fondi pensione è possibile richiedere una anticipazione dopo 8 anni dall’iscrizione e fino al 30% senza ulteriori condizionalità.
In azienda resta il limite di 8 anni, ma si può richiedere fino al 70% e soltanto in caso di congedi parentali, per la formazione extra lavorativa o continua.
Infine, ricordiamo che il TFR lasciato in azienda può essere richiesto una sola volta, mentre conferendolo in un Fondo Pensione è possibile richiederlo anche più volte.
In conclusione, riassumiamo tutti i vantaggi riservati a chi sceglie di iscriversi a un fondo pensione negoziale come Priamo:
Ecco perché nelle proprie decisioni finanziarie non è sufficiente valutare la contingenza, ma occorre prendere in considerazione tutti gli elementi e le informazioni a propria disposizione, adottando sempre una prospettiva di lungo periodo.
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