Sono soprattutto uomini, hanno mediamente 69 anni e la famiglia conta ancora moltissimo su di loro dal punto di vista finanziario; questo è l’identikit dei pensionati che continuano a lavorare, sulla base del report ISTAT “Condizioni di vita dei pensionati”.
Si tratta prevalentemente di persone con un titolo di studio medio-basso, che proseguono a lavorare svolgendo attività non dipendenti, mosse in particolare da un’esigenza finanziaria e dalla necessità di integrare il reddito da pensione per mantenere il proprio tenore di vita.
In questo articolo analizzeremo i dati ISTAT, dopodiché scopriremo possibilità e limiti del cumulo di reddito da pensione e reddito da lavoro.
Infine, indagheremo le ragioni che portano alla scelta di lavorare seppure in pensione, evidenziando come la soluzione ideale sia iscriversi a un fondo pensione fin dalla prima occupazione, accedendo così anche ai numerosi benefici garantiti da questa scelta.
Come anticipato, l’ISTAT ha di recente pubblicato il report dal titolo “Condizioni di vita dei pensionati”, basato sui dati rilevati nel biennio 2020-2021. Il rapporto traccia un quadro su una categoria molto importante, e sempre più consistente, della popolazione italiana: i pensionati.
Per le famiglie con pensionati i trasferimenti pensionistici rappresentano, in media, il 64% del reddito familiare netto disponibile.
Dal rapporto emerge un trend a cui occorre prestare particolare attenzione: l’aumento di coloro che, pur essendo in pensione, decidono comunque di continuare a lavorare.
Nel 2021 i pensionati che al contempo hanno percepito un reddito da lavoro sono stati in media 444 mila, con una crescita del +13,3% rispetto al 2020. Nel 2020, a causa della pandemia, questo dato aveva subito una contrazione del 6,5%, ma con la ripresa post-lockdown anche i pensionati che lavorano sono tornati a crescere.
Andando nel dettaglio, si tratta principalmente di uomini (quasi 8 su 10), residenti nelle regioni del Nord Italia, in possesso di titoli di studio inferiori (oltre la metà è in possesso al massimo della licenza media) e lavoratori non dipendenti.
Un altro dato in crescita che desta preoccupazione è quello relativo all’età media dei pensionati che ancora lavorano.
Il rapporto rileva infatti che:
“nel 2021 il 78,6% ha almeno 65 anni (77,4% nel 2019) e il 45,4% ne ha almeno 70 (41,8% nel 2019); proprio al segmento più anziano si deve buona parte dell’incremento osservato nel 2021 rispetto all’anno precedente (+15,7%). L’età media dei pensionati con redditi da lavoro supera quindi i 69 anni nel 2021; tra gli uomini la media è di circa mezzo anno più elevata rispetto alle donne e tra i lavoratori indipendenti supera di tre anni quella dei dipendenti.”
Questi dati mostrano, dunque, che non solo è possibile lavorare dopo il pensionamento, ma anche che sempre più italiani, per vari motivi, operano questa scelta.
In generale, infatti, è possibile lavorare pur percependo la pensione pubblica, poiché il divieto di cumulo tra redditi da pensione e redditi da lavoro è stato abolito a partire dal 1° gennaio 2009.
Occorre però sapere anche che esistono alcune limitazioni legate alle modalità attraverso le quali il soggetto interessato ha avuto l’accesso all’assegno pensionistico.
Il cumulo di redditi da lavoro e da pensione, infatti, è possibile senza limitazioni per chi va in pensione con il sistema retributivo o misto, cioè chi ha iniziato a versare i contributi prima del 31 dicembre 1995.
Per chi, invece, va in pensione con il sistema contributivo, cioè gli iscritti alla previdenza obbligatoria a partire dal 1° gennaio 1996, il cumulo tra lavoro e pensione è possibile se si raggiunge almeno uno dei seguenti requisiti:
Esistono poi incompatibilità e limiti per chi va in pensione utilizzando una delle diverse opzioni di flessibilità in uscita, come Quota 103 oppure Opzione Donna, ad esempio.
Dunque, è sempre importante accertarsi di avere i requisiti necessari per poter cumulare il reddito da pensione pubblica e quello da lavoro.
Leggi anche il nostro approfondimento Si può lavorare dopo la pensione?
Per quale motivo un pensionato decide di continuare a lavorare o di rimettersi al lavoro, pur percependo la pensione pubblica?
Le ragioni possono essere molteplici e anche molto personali. Facciamo alcuni esempi tra i più plausibili:
Sono motivazioni che sarebbe importante indagare ben prima del pensionamento perché le prime due, finanza e organizzazione, con una buona pianificazione e agendo con ampio anticipo, possono essere superate portando a una vecchiaia più serena e che consenta di accedere al meritato riposo.
Chi potrebbe essere costretto a proseguire con un’attività lavorativa anche dopo il pensionamento da lavoro, può risolvere la questione attivandosi fin dal primo impiego, o ancora prima, se i genitori iscrivono i propri figli a un fondo pensione fin dalla prima infanzia. Aderire a un fondo pensione in giovane età è infatti il modo migliore per darsi un obiettivo di risparmio e investimento previdenziale, massimizzando i benefici della previdenza complementare.
Una buona pianificazione previdenziale, infatti, libererà il futuro pensionato da scelte sofferte quanto faticose e dall’obbligo di continuare a lavorare pur avendo i requisiti per il pensionamento.
Scegliere di aderire a un fondo pensione come Priamo ha infatti quale obiettivo principale quello di integrare l’assegno della pensione pubblica e di contribuire a creare una vecchiaia all’altezza delle proprie aspettative ed esigenze.
Ricordiamo poi che, oltre a ottenere una pensione integrativa, l’adesione a un fondo pensione come Priamo offre una serie di ulteriori vantaggi:
Ecco perché si consiglia, fin dalla prima occupazione, di dedicare parte dei propri risparmi all’integrazione del reddito da pensione.
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