Chi sceglie di lavorare part-time dovrebbe occuparsi ancor di più del futuro assegno pensionistico rispetto ai lavoratori full-time, valutando seriamente la previdenza complementare.
In questo articolo scopriremo che il part-time può non incidere sugli anni che portano alla pensione, mentre colpisce in maniera pesante l’assegno pensionistico che si andrà a percepire.
Vediamo in che modo.
Quando si ragiona sulla pensione futura, sono due i fattori che entrano in gioco per fare delle valutazioni, anche in termini di integrazione:
È bene tenere a mente entrambe le questioni nel caso in cui si stia valutando l’opportunità di accettare un lavoro part-time o di fare il passaggio dal lavoro full-time a quello a tempo parziale.
In questi casi, infatti, occorre sapere come funzionano tempi e importi nel part-time:
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Partiamo dall’età pensionabile e facciamo un distinguo tra lavoratori del settore privato e lavoratori del pubblico:
C’è una ulteriore questione da prendere in considerazione per il raggiungimento dell’età pensionabile, e riguarda chi ha iniziato a lavorare dopo il 1995:
Quanto detto finora vale per il part-time cosiddetto “orizzontale”, dunque lavorando tutti i giorni per un numero ridotto di ore.
Sul fronte del conteggio dei periodi contributivi ai fini pensionistici, l’INPS con la circolare n. 74/2021 ha introdotto un’importante novità: i periodi non lavorati nei rapporti di lavoro part time verticale (lavoro solo in alcuni giorni) o ciclico (lavoro solo in alcuni periodi) sono riconosciuti per intero nel calcolo dei requisiti di anzianità lavorativa per l’accesso al diritto alla pensione.
Precedentemente, nel caso di part-time verticali o ciclici il numero dei contributi settimanali da accreditare ai fini delle prestazioni pensionistiche era pari a quello delle settimane dell’anno retribuite, per cui non era consentito l’accredito delle settimane prive di retribuzione.
Lavorare part-time, per forza di cose, comporta una retribuzione inferiore rispetto a quella prevista dai contratti full-time per la medesima mansione.
Di conseguenza si riducono anche gli importi dei contributi previdenziali, determinati in percentuale sulla retribuzione percepita.
Considerando, poi, che chi è entrato nel mondo del lavoro dopo il 1995 vedrà il proprio assegno pensionistico calcolato utilizzando il sistema contributivo puro, dunque determinato in base ai contributi versati nel corso della vita lavorativa, si capisce subito che l’importo dell’assegno pensionistico si riduce in maniera considerevole.
La pensione contributiva si ottiene, infatti, moltiplicando il montante contributivo individuale (calcolato sul 100% della retribuzione), il capitale che il lavoratore ha accumulato durante la propria carriera su cui viene calcolato l'importo della pensione, per il coefficiente di trasformazione.
Nel caso del part-time, il montante contributivo viene calcolato sul 33% della retribuzione, dunque molto inferiore a quella del full-time.
La combo di lavoro part-time e sistema pensionistico contributivo, dunque, incide in maniera pesante sull’importo dell’assegno pensionistico pubblico.
Questo comporta la necessità di valutare con attenzione l’iscrizione a forme di previdenza complementare, in modo da assicurare un’integrazione pensionistica congrua rispetto alle esigenze di spesa una volta raggiunto il momento della pensione.
Insomma, il passaggio al part-time non comporta valutazioni solo sull’immediato presente ma anche sul futuro, a maggior ragione se quel futuro sembra lontano, dal momento che prima si aderisce al fondo pensione minore sarà l’accantonamento necessario a ottenere l’integrazione desiderata.
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