Cambiare lavoro può capitare a tutti e per i motivi più diversi, lieti o infausti che siano. Ma ogni cambio di lavoro può incidere sulla continuità contributiva e dunque sui calcoli pensionistici sia in termini temporali che economici.
In questo articolo vedremo in dettaglio cos’è la continuità contributiva e quanto sia sempre più importante, in che modo ovviare ai cosiddetti buchi contributivi, periodi cioè non conteggiati ai fini pensionistici, che cosa succede quando si passa da una gestione INPS a un’altra (ad esempio se un dipendente decide di mettersi in proprio).
Infine, osserveremo come l’adesione a un fondo pensione garantisca la continuità anche nel passaggio da un lavoro a un altro e quali sono le opzioni a disposizione degli aderenti.
In questa fase storica, cambiare lavoro anche con una certa frequenza non è inusuale. Può succedere per i più svariati motivi, da un contratto a termine al desiderio di progredire nella carriera, passando per fasi di disoccupazione involontaria (perché ad esempio l’azienda ha subito una contrazione dell’attività).
Qualsiasi sia il motivo per cui si cambia lavoro, occorre fare molta attenzione alla continuità contributiva per preservare la pensione futura.
Per continuità contributiva intendiamo un flusso regolare e continuo nel versamento all’INPS dei contributi da lavoro. La continuità contributiva è sempre stata importante, per non avere brutte sorprese al momento del pensionamento, ma lo è diventata ancora di più nel passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo.
Questo perché, con il sistema pensionistico contributivo l’assegno della pensione viene determinato sulla base dei contributi versati e non sulla retribuzione percepita prima del pensionamento.
Dunque, mentre in passato la continuità contributiva era importante soprattutto al fine del calcolo degli anni necessari a raggiungere il pensionamento, adesso è fondamentale anche per quantificare la pensione da ricevere.
Leggi anche il nostro approfondimento “Qual è la differenza tra pensione contributiva e retributiva”.
Se il lavoratore chiude un rapporto di lavoro il giorno X e ne avvia uno nuovo il giorno X+1 (cioè il giorno immediatamente successivo), la continuità contributiva è garantita.
Se invece nel passaggio da un lavoro a un altro trascorre del tempo, si creano i cosiddetti “buchi contributivi”, che dunque andrebbero sanati per ristabilire la continuità e non vedere la pensione allontanarsi e con un assegno più magro.
Innanzitutto, occorre sapere che i contributi da lavoro non sono gli unici che possono contribuire alla costruzione della pensione futura.
Esistono altre tipologie di contributi utili a ricostruire la continuità e a colmare i buchi:
L’ordine in cui abbiamo esposto le quattro tipologie di contributi, a partire da quelli da lavoro, non è casuale. I contributi hanno questa precisa gerarchia, dunque una tipologia prevale sull’altra in caso di fasi di coesistenza delle condizioni.
Il classico esempio è il servizio militare durante il periodo universitario, per cui i contributi figurativi prevalgono su quelli da riscatto (e non si può mai conteggiarli due volte).
Leggi anche i nostro approfondimenti:
E se il passaggio da un lavoro a un altro comportasse anche il passaggio da una gestione INPS ad un’altra?
Si pensi ad un lavoratore dipendente che scelga di passare alla libera professione, chiudendo con la gestione dipendenti e aprendo una posizione nella gestione separata.
In questo caso potrebbero non esserci buchi contributivi a livello temporale, ma la storia contributiva risulterebbe frammentata tra diverse gestioni.
L’INPS fornisce una serie di opportunità per fare ordine nella storia contributiva del lavoratore, nel dettaglio:
Cosa accade in fase di cambio lavoro a chi ha aderito a un fondo pensione? Parliamo di pensione integrativa; in questo caso è tutto molto più semplice. Ma non solo.
La scelta della pensione integrativa protegge chi ha aderito anche dai buchi contributivi che non ha potuto colmare per vari motivi, dal momento che va a integrare l’assegno pensionistico che può essere ridotto a causa di suddetti buchi.
Per illustrare questo punto, parliamo di noi: del Fondo Priamo.
Con il cambio di lavoro, si mantengono i requisiti di partecipazione al Fondo. Nello specifico, chi cambia lavoro e ha aderito a Priamo conferendo il TFR al Fondo, ha tre possibilità:
Se poi il cambio di lavoro comporta il passaggio ad altro settore e dunque la perdita dei requisiti di partecipazione al Fondo Priamo, il lavoratore ha diritto a passare ad altro fondo o riscattare la posizione maturata fino a quel momento.
Nel caso in cui si opti per il trasferimento ad altro Fondo pensione, verrà riconosciuta all’aderente l’anzianità maturata alla previdenza complementare, recependo quale data d’iscrizione quella del precedente Fondo Pensione.
Ricordiamo, infine, che è possibile usufruire di una modalità di erogazione sotto forma di “Rendita Integrativa Temporanea Anticipata” cosiddetta RITA, per il sostegno finanziario agli associati prossimi alla pensione di vecchiaia, o dei lavoratori che risultino inoccupati e in possesso dei requisiti previsti dalla legge.
Opzione, questa, che può essere molto utile visto quanto detto al principio di questo articolo, e cioè che il passaggio al sistema contributivo e la fase che stiamo attraversando, possono comportare delle oggettive difficoltà dei lavoratori in termini di continuità contributiva e dunque una concreta esigenza di sostegno integrativo sia in termini economici che temporali.
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