In alcuni casi, può succedere che l’INPS riceva versamenti contributivi non dovuti, importi che, di fatto, non contribuiranno al calcolo della pensione pubblica del lavoratore e che l’azienda non avrebbe dovuto versare. Si tratta dei cosiddetti contributi indebitamente versati.
Ma sono cifre di cui è possibile chiedere il rimborso? In questo articolo vedremo che cosa sono i contributi indebitamente versati e in che modo ciascun lavoratore può tenere sotto controllo la propria situazione contributiva, direttamente da casa, utilizzando i servizi online dell’INPS.
Analizzeremo, poi, qual è la procedura per la richiesta del rimborso e chi nello specifico deve occuparsi di fare domanda. Infine, vedremo quali sono i termini di prescrizione per fare domanda e che cosa accade alle cifre non richieste a rimborso entro i termini.
I contributi indebitamente versati sono quelli che non erano dovuti all’INPS, per qualsiasi motivo, e che dunque, seppure presenti nell’estratto conto contributivo, non partecipano alla determinazione della pensione futura.
Si tratta, insomma, di contributi versati all’INPS che non serviranno per la pensione, ma nemmeno possono essere utilizzati in altro modo, ad esempio totalizzandoli (cioè acquisendo il diritto a un'unica pensione di anzianità pur avendo versato contributi in diverse casse), cumulandoli, ricongiungendoli o chiedendo una pensione supplementare.
Semplificando al massimo, è denaro perso per il lavoratore, a meno che non si attivi per recuperarlo dall’INPS.
Perché, sì, è possibile farlo!
Abbiamo detto che l’indebito versamento può avvenire per qualsiasi motivo, ma facciamo un esempio specifico che riguarda i lavoratori dipendenti.
Parliamo del caso in cui il datore di lavoro versa contributi eccedenti il massimale, cioè oltre quel tetto di reddito per il quale non sono più dovuti contributi previdenziali per coloro che accedono alla pensione con il sistema contributivo. Per capirci, il massimale per il 2023, stabilito con la circolare INPS n. 11 del 2023, è stato fissato a 113.520,00 euro.
Questo significa che se la base contributiva supera questa cifra, per la parte eccedente non sono dovuti versamenti ai fini pensionistici e, in caso di errori nei pagamenti, andrebbe richiesto il rimborso.
Per essere sempre ben informati circa la propria situazione contributiva, ma anche per rilevare eventuali errori prima possibile, evitando eventuali prescrizioni del rimborso, è sempre opportuno consultare periodicamente il proprio estratto conto contributivo.
Le informazioni circa i contributi versati possono infatti essere reperite su questo documento, che elenca tutti i contributi effettuati all’INPS in favore del lavoratore, riepilogando versamenti da lavoro, figurativi e da riscatto, in base alla gestione alla quale il lavoratore risulta iscritto.
Il servizio è disponibile online sul portale INPS (qui) ed è possibile accedervi utilizzando le credenziali SPID, CIE o CNS.
Un attento controllo di questo documento può risultare fondamentale, soprattutto quando si avvicina il momento della pensione. Può infatti capitare che, analizzando l’estratto conto, emerga l'assenza di determinati periodi in cui il pensionando ha effettivamente lavorato, oppure l’indicazione di redditi più bassi di quelli percepiti e su cui andavano conteggiati i contributi, il mancato accredito di alcuni contributi figurativi (ad esempio, un periodo di malattia) o ancora, come nel nostro caso, l’indebito versamento di cifre non dovute.
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I contributi indebitamente versati possono essere recuperati in due modi. Se è l’INPS a rendersi conto dell’anomalia nel versamento, il rimborso viene disposto d’ufficio e la questione si chiude pressoché immediatamente, senza la necessità di un intervento da parte del lavoratore e del datore di lavoro.
Se, invece, l’istituto di previdenza non si rende conto dell’errore
commesso, occorre seguire un iter per recuperare l’indebito versamento.
Le regole per il rimborso dei contributi indebitamente versati ai lavoratori dipendenti risalgono a una legge del 1957, il DPR 818. Questa norma stabilisce due cose in particolare:
Il rimborso, entro i termini di prescrizione, deve dunque essere richiesto dal datore di lavoro, attraverso il servizio denominato Rimborso dei crediti contributivi alle aziende. L'azienda deve poi, a sua volta, restituire al lavoratore i contributi indebitamente versati che erano a suo carico.
Come detto, dunque, trascorsi cinque anni il rimborso dei contributi indebitamente versati “cade in prescrizione”.
Tuttavia, la prescrizione si allunga a 10 anni per i contributi versati in eccedenza rispetto al massimale, di cui abbiamo parlato nel primo paragrafo. Questo raddoppio dei termini è sancito dalla circolare INPS n. 63 del 2019, al fine di riequilibrare il trattamento riservato ai lavoratori che andavano in pensione con il sistema retributivo (più conveniente e che restituiva i contributi indebitamente versati unitamente alla pensione), rispetto a coloro che vanno in pensione con il sistema contributivo.
Questi ultimi, infatti, trascorsi i dieci anni perdono definitivamente i contributi non richiesti a rimborso.
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Infine, precisiamo che sull’importo rimborsato, l’INPS ritiene di non dover corrispondere gli interessi ma il mero importo del versamento indebito. Ciò nonostante, la sentenza n. 417/1998 della Corte Costituzionale ha ritenuto illegittima questa posizione dell’INPS, sancendo il diritto di ottenere un rimborso comprensivo degli interessi. Dunque, in assenza di una norma che chiarisca definitivamente la questione, i lavoratori possono richiamare questa sentenza per richiedere, ed eventualmente ottenere, gli interessi dovuti.
Il calcolo degli interessi, in base a quanto stabilito con la sentenza n. 7296/1994 della Corte di Cassazione, decorre dal momento della domanda di rimborso e non da quello dell’indebito versamento.
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